Un po' di storia

Le tagliatelle e il moto antipapalino di Savigno

Presso l’Archivio di Stato di Bologna (A.S.Bo.) sono depositati gli atti dei “Processi politici” celebrati davanti alla Commissione militare straordinaria dello Stato Pontificio. Fra questi è interessante il verbale relativo al processo numero 2942 riguardante il moto antipapalino di Savigno dell’agosto 1843, nel quale viene descritto l’attacco degli insorti alla compagnia di carabinieri e volontari pontifici che si trovavano all’osteria di Savigno. Era un periodo in cui, secondo Alberto Caracciolo, si faceva strada, sia pur in embrione, una tendenza a porre il problema nazionale non solo in termini di libertà e di indipendenza, ma in qualche modo di unificazione. Già verso la fine di luglio 1843 la “Direzione di Polizia giunse a scoprire che i faziosi di questa città (Bologna) stavano disponendo un movimento politico che avrebbe dovuto insorgere”. Gli insorti, circa ottanta e forse di più, provenivano da varie estrazioni sociali: dalla nobiltà come Livio Zambeccari (Bologna 1802-1862), Pietro Vassé di Pietramellara (Bologna 1804-Roma 1849), Sebastiano Tamari (Bologna 1814-Bazzano 1881), da avvocati come Gaetano Bottrigari, da medici come Pasquale Muratori (Tignano di Sasso Marconi 1804-1861) che fu il capo dell’organizzazione militare, e da popolani come barbieri, mugnai, canapini, macellai, fabbri, lavandai, agricoltori. Cioè persone di Bologna e di Romagna, ma principalmente delle colline e montagne di Savigno, Pradano, Sasso Marconi, Monte S. Pietro, Vergato, Gavignano, Sanchierlo e di altre zone limitrofe. Dall’esame del verbale relativo al citato processo numero 2942, che esamineremo di seguito, vigeva un clima politico molto teso, che rifletteva il pensiero delle alte gerarchie ecclesiastiche. Così il cardinale Ugo Pietro Spinola scriveva nella Gazzetta Privilegiata di Bologna che “alcuni scellerati concupivano il perfido disegno di eccitare tra noi sconvolgimenti adescando con denaro e d’insieme promesse di preda poca mano di gente tratta dalla classe più miserabile”. Lo stesso Legato Spinola nominava una commissione militare che aveva una funzione di tribunale speciale “con giudizio sommario e inappellabile”. Il verbale in esame non contiene solo vicende relative al tentativo di sollevazione contro il potere temporale, ma anche notizie relative ai piatti succulenti che si identificano nelle tagliatelle condite col ragù. Conoscere il passato, il nostro ieri, vuol dire, secondo Tito Trombacco profondo conoscitore della cultura gastronomica, ricostruire un mondo, rivivere un’epoca anche attraverso la cucina ed i suoi riti alimentari. In data 23 agosto 1943, dal verbale del processo numero 2942, risulta “che un uomo qualificatosi per Domenichetti Emidio del fu Francesco, di anni ventisei, nativo si S. Martino Ferrarese, nubile, Carabiniere Pontificio, […] fu ammonito di dire la verità come promise”. Egli raccontò di aver fatto parte del “picchetto” dei militari comandati dal capitano Castelvetri che alloggiavano nell’osteria di Savigno e che il giorno 15 agosto i “rivoltosi Briganti”, comandati da Pasquale Muratori, assalirono l’osteria. Lo scontro armato fu durissimo e si concluse con la sopraffazione dei gendarmi e dei volontari pontifici, alcuni dei quali rimasero uccisi. I ribelli abbandonarono poi la piazza di Savigno frettolosamente nel primo pomeriggio del 15 agosto verso la montagna in direzione di Merlano, in quanto ebbero sentore dell’imminente arrivo di un numeroso contingente di truppe regolari dalla parte di Ponzano. Dalla lettura della deposizione di Emidio Domenichetti, il carabiniere prigioniero, i ribelli giunsero ad un’osteria “posta in alto la quale i briganti mangiarono e noi seco loro, del pane e cipolla, e bevemmo vino nero”. Dopo aver dormito in un fienile presso un contadino, la mattina del mercoledì 16 agosto 1843 arrivarono presso un’altra osteria detta delle Lagune, dove anche qui mangiarono pane e cipolla, ma ripartirono subito dopo in seguito alla fuga del carabiniere Foscoli “per timore di una sorpresa”. Il giorno dopo arrivarono presso un’altra osteria detta S. Tignano, dove pernottarono e la mattina successiva fu liberato “il compagno Lazzari”. Contemporaneamente Pasquale Muratori e Gaetano Torri chiesero a Domenichetti se volesse anche lui andarsene, ma egli pensò bene “di rispondere negativamente, e che amavo di restarmene con loro, temendo che dando un’altra risposta mi avessero fatto qualche brutto scherzo”. I rivoltosi si dimostrarono contenti e dissero che “mi ero dato al miglior partito, che un giorno sarei stato felice e premiato”. Aggiunsero anche di venir presto in trionfo a Bologna “rovesciato che fosse il Governo dei preti prossimo a cadere perché minacciato da tutte le parti, i popoli stanchi e desiderosi della libertà”. Venerdì 18 agosto raggiunsero Monte Pastore e poi discesero ad “un’osteria nella strada maestra che non so come si chiami, per la quale passa il Lavino” e dove furono cucinati cinque o sei pollastri oltre a del prosciutto “per fare del brodo, e poi furono fatte in gran quantità delle tagliatelle dall’oste che vennero cotte in detto brodo e distribuite in tre o quattro vasi grandi di terra o di rame in ciascuno dei quali mangiarono dieci persone. Bevemmo vino bianco” (A.S.Bo., tribunale criminale di prima istanza, processo numero 2942, 1843, filza 1, pp. 152v-153r). La testimonianza di questo tipico piatto petroniano compare una seconda volta quando il prigioniero Domenichetti nella sua deposizione racconta che domenica 30 agosto 1843 si trovavano verso Calderino sul Monte S. Pietro ove “mangiammo lassù in quel monte pollastri, carne di manzo, tagliatelle e pernottammo nell’osteria medesima parte nel fienile, parte nella loggi d’ingresso sulla paglia” (A.S.Bo., tribunale criminale di prima istanza, processo numero 2942, 1843, filza 1, pp. 157). Dopo quest’ultima testimonianza, Emidio Domenichetti prosegue il suo racconto sui ribelli che, arrivati a Gaibola, furono informati dell’imminente arrivo dei gendarmi e constatata la loro forte superiorità numerica, decisero di ritirarsi velocemente. La situazione si presentava molto critica, addirittura Pasquale Muratori pensava di scrivere al Cardinale per “notificargli del come e per causa di chi fossero tutti compromessi, e così di svelargli le trame di Bologna”. Riguardo poi la prigionia di Emidio Domenichetti, egli fuggì approfittando dell’occasione che gli insorti, giunti nei pressi di una casa contadina, ubriachi si addormentarono. Raggiunse quindi Bologna “ove sono venuto da me solo. Ecco raccontata la storia”. Questo singolare fatto d’armi del 1843 può considerarsi, come affermato, “una drammatica anticipazione dei moti del 1848”. A Bologna la commissione militare istituì il processo che si concluse con diverse condanne a morte, sei giovani patrioti popolani di cui tre facchini, un falegname, un calzolaio e un cordaio. Come già rilevato, la cucina si inserisce fra i valori portanti della storia dell’uomo e abbiamo voluto evidenziare nella deposizione del carabiniere pontificio Emidio Domenichetti che l’offerta di tagliatelle nelle varie osterie del territorio del Samoggia non è un’eccezione, ma un tipico mangiare quotidiano. Quando si cita la tagliatella, bisogna iniziare a parlare della sfoglia e poi del ragù bolognese, perché senza questo la Contessa Tagliatella, sono parole di Tito Trombacco, si presenterebbe al pubblico, sulle tavole, nuda come la sfoglia l’ha fatta! Il ragù bolognese è nato appunto per vestirla degnamente.

Prof. Salvatore Saccone
Apostolo della Tagliatella